Fuoco pallido
di Ennio Ranaboldo
Vladimir Nabokov (1899-1977) è il wordsmith definitivo del Novecento, russo e americano: quasi un cliché ricordare che, nessuno come lui, è stato maestro di stile e di invenzione in prosa e in versi, in due lingue remote come il russo e l’inglese, e anche il frequente traduttore di sé stesso. Nabokov ha eretto a sistema plurilinguistico, nell’intera sua opera, il principio flaubertiano del mot juste. Ma questa sua reputazione da pianta di serra della forma, così come la passione per la precisione tassonomica dell’entomologia, ha forse un po’ offuscato la memoria del suo formidabile genio comico, la maestria nella satira e il sorriso permanente sulle labbra di chi legga, in modo attento e lento, un libro come Fuoco pallido.
«Tutta l’arte è inganno – disse Nabokov in un’intervista –, e così è la natura; tutto è inganno in quel buon imbroglio, dall’insetto che imita una foglia agli inviti seducenti della procreazione». Considerato questo convincimento nabokoviano, che è poi il suo manifesto estetico, è indispensabile mappare brevemente l’«imbroglio» di Fuoco pallido, forse la sua creazione più rutilante e inclassificabile.…
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